Tradizioni popolari abruzzesi

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Fra le tante tradizioni abruzzesi, eccone qui alcune che rappresentano in generale questa regione italiana.

Dolci tipici[modifica | modifica sorgente]

Le ferratelle[modifica | modifica sorgente]

Ferratelle

Le ferratelle abruzzesi sono delle profumate cialde morbide o croccanti che vengono servite con una spolverata di zucchero a velo oppure farcite con confetture, miele o cioccolato. Sono cotte su una particolare piastra in ferro o in ghisa. Storicamente le ferratelle erano i dolci per le feste nel periodo natalizio. Risale al '700 la nascita dei tipici arnesi per la cottura delle cialde. Le ferratelle in generale sono anche molto famose nel Lazio e nelle Marche. In alcuni casi questo dolce viene arrotolato come un cannolo con ripieno di marmellata, tradizionalmente d'uva, ma anche con crema pasticcera o cioccolata.

La cicerchiata[modifica | modifica sorgente]

Un’altra ricetta semplice, ma arricchita con gustoso miele è la cicerchiata.

Cicerchiata
Cicerchiata

È un dolce prodotto e mangiato principalmente nelle Marche, in Molise, in Abruzzo, ma anche in Umbria e persino a Roma. Viene preparato soprattutto nel periodo di carnevale.

È formato da piccole palline di impasto fritte e poi ricoperte da ottimo miele. L’abbondante presenza di quest’ultimo non rende la cicerchiata troppo dolce, ma, al contrario, crea il perfetto equilibrio di tutti gli ingredienti.

Alcuni credono che il dolce abbia una storia antichissima e sia nato fra l'Umbria e le Marche, per poi essere conosciuto anche in Abruzzo e in Molise. Secondo altri invece la cicerchiata sarebbe nata in Abruzzo, nella zona del Sangro. Il suo nome risale al medioevo e con molta probabilità deriva da cicerchia, un legume molto diffuso nell'Italia centrale e meridionale a quell’epoca. Le palline che compongono il dolce ne ricordano la forma e cicerchiata vorrebbe significare "mucchio di cicerchie". È perfetta se gustata a fine pasto, accompagnata da un bicchierino di liquore.

Il bocconotto[modifica | modifica sorgente]

Come nella cicerchiata il miele è l’elemento principale, lo è il cioccolato nel bocconotto.

Bocconotto

Questo dolce nel dizionario abruzzese del 1930 compare sotto la voce di "buccunotte".

Nella ricetta, quella originale di Castel Frentano, la farcitura viene fatta con cioccolato fondente, acqua, zucchero, mandorle tostate e macinate finemente, tuorli d’uovo e cannella. In ogni stampino va versato un cucchiaio di farcitura, poi ricoperto con un disco di pasta frolla. I dessert a questo punto sono pronti per la cottura. In seguito i bocconotti vanno ricoperti con una spolverata di zucchero a velo e serviti.

Le origini di questo dolce sono da collocare ai primi anni del Novecento. Tuttavia la tradizione popolare anticipa la sua nascita al 1800.

La famiglia di Angela Bomba, titolare de “La Casa del bocconotto” a Lanciano (Chieti)

realizzava il dolce in casa già nel 1800.

Possiamo dire che il bocconotto era un dessert per famiglie abbienti, tant'è che si pensa che sia stato creato proprio da una ricca famiglia castellina e che la ricetta sia rimasta segreta per tanti anni.

Parrozzo
Parrozzo

Il parrozzo[modifica | modifica sorgente]

E se nel bocconotto il cioccolato è all’interno, c’è un dolce in cui il cioccolato è presente esternamente: il parrozzo.

Il parozzo è un dolce tipico pescarese che è nato nel 1920 come pane rustico preparato dai contadini con la farina del granturco. Luigi D'Amico, titolare di una pasticceria, ha avuto l'idea di riprodurre questo pane in versione dolce aggiungendo però le uova per dare il colore del mais e con la copertura di cioccolato. La prima persona a cui Luigi D’Amico fece assaggiare il parrozzo fu Gabriele d'Annunzio che, estasiato, suggerì il nome di Parrozzo (pan rozzo), e gli dedicò molte lettere e sonetti. La caratteristica principale di questo dolce è la tendenza a sbriciolarsi quando si taglia.

Transumanza[modifica | modifica sorgente]

La transumanza è la migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori che si spostano da pascoli situati in zone collinari o montane (nella stagione estiva) verso quelli delle pianure (nella stagione invernale), percorrendo le vie semi-naturali dei tratturi.

I tratturi[modifica | modifica sorgente]

Transumanza

Essi coprono la maggior parte del territorio molisano, ed è per tale motivo che questa regione è ormai definita, per legge, “Parco Nazionale dei Tratturi”. Queste antiche vie di transumanza, inoltre, collegano il Molise all'Abruzzo, al Lazio, alla Puglia e alla Campania.

I tratturi avevano percorsi principali che collegavano le regioni pastorali dell'Italia centrale e meridionale. Alcuni dei tratturi più noti includevano:

  • Tratturo Magno: Collegava la Puglia all'Abruzzo e al Molise.
  • Tratturo Celano-Foggia: Conduceva il bestiame dall'Abruzzo a Puglia.
  • Tratturo Pescasseroli-Candela: Collegava l'Abruzzo alla Puglia attraverso il Molise
Transumanza

Il tragitto dei tratturi varia a seconda del percorso specifico, ma in generale, questi erano lunghi e attraversavano vaste distanze per collegare le regioni di transumanza.

La storia[modifica | modifica sorgente]

A riprova della rilevanza di tale pratica nell'economia e nella società, è stato calcolato che nella metà del XV secolo, non meno di tre milioni di ovini e trentamila pastori percorressero annualmente i tratturi, e che l'impatto che la pastorizia esercitava era tale da fornire sussistenza a metà della popolazione abruzzese, direttamente o indirettamente. Nel XVII secolo i capi coinvolti erano circa cinque milioni e mezzo. Nei secoli la pratica agropastorale della Transumanza è stata una delle attività prevalenti, tante erano le famiglie e i possidenti che in autunno riunivano i loro capi in mandrie o greggi più grandi e andavano a svernare in Puglia.

Serpari[modifica | modifica sorgente]

Il 1 maggio a Cocullo, in provincia dell’Aquila si festeggia la celebrazione folkloristica abruzzese più fam

Serpari

osa, La festa di San Domenico abate e la processione dei serpari dove si intrecciano le usanze pagane con le tradizioni cristiane.

La cerimonia[modifica | modifica sorgente]

La cerimonia si ripete immutata da molti anni(dal XVI secolo d.C. circa).Ha inizio con la messa, dove i fedeli fanno veri e propri rituali propiziatori pagani ma convertiti nel religioso culto di San Domenico. Poi avviene la processione dei separi: la statua, posta al centro della piazza, viene ricoperta quasi interamente da rettili,escluso il viso del Santo,infatti, secondo la tradizione non sarebbe di buon auspicio sei I serpenti fossero sul viso della statua. I serpenti catturati per questa giornata vengono individuati già nei mesi precedenti all’evento e vengono mantenuti nelle cassette con un segno sulla testa di riconoscimento. Essi vengono nutriti con topi vivi e uova sode e alla fine della festa vengono liberati nei campi.

La storia[modifica | modifica sorgente]

L’abate era un monaco benedettino di Foligno, nato nel 951, che attraversò il Lazio e l’Abruzzo fondando monasteri ed eremi. A Cocullo si fermò per sette anni, diventando il protettore sia di questo paese che di Villalago dove sono presenti sia una chiesa che un lago che portano il suo nome e nei dintorni c’è anche l’eremo dove si ritirava in preghiera. secondo i fedeli San Domenico, minacciato di morte, fuggì da Villalago per raggiungere Cocullo; frappose tra suoi aggressori un orso a guardia della strada. Le sue reliquie furono donate da lui stesso agli abitanti dei due paesi abruzzesi dove visse. La chiesa dove è celebrata la messa durante questa giornata speciale conserva un dente e il ferro della mula dell’abate. Quest’ultimo viene invocato perché i fedeli possano proteggersi dal morso dei serpenti e dei cani affetti dalla rabbia, ma anche per propiziare piogge e tempeste, e allontanare malaria e mal di denti.

Rito delle streghe[modifica | modifica sorgente]

La storia[modifica | modifica sorgente]

La notte delle streghe viene festeggiata in Abruzzo a Civitella del Tronto (TE) e a Castel del Monte (AQ).

Quando si credeva che le donne incinta (solo a Civitella del Tronto) o i bimbi specialmente piccoli avessero qualche sorta di male o malocchio si facevano diversi riti per scacciarli via. Per le donne incinta venivano fatti i seguenti rituali:

Rito delle streghe

-quando pensavano di essere colpite da fatture e da malocchio suscitato dall’invidia altrui, dovevano mettere in atto opportune pratiche magiche di scongiuro;

-dovevano mangiare una volta al mese, raddoppiando di volta in volta la dose, le foglie di ruta poiché rendeva il sangue amaro e impediva che le partorienti fossero tormentate dalle streghe.

Ai bambini  si faceva un rito legato alle streghe per allontanarle.

Il bambino malato per nove notti, dopo le quali venivano presi i suoi panni, in processione con la mamma e altre donne parenti o vicine di casa fidate, veniva portato di notte e in totale silenzio sotto sette porte. Si fermavano e battevano con forza i panni del bambino dandogli poi fuoco.così si credeva di cacciare le strega che stava succhiando il bambino e guarirlo . Ci sono pochissime fonti scritte e una di queste di Francesco Giuliani.

Curiosità[modifica | modifica sorgente]

Rito delle sette porte

La notte delle streghe è la trasposizione di un antichissimo rito che si è svolto fino agli 50’ del Novecento a Castel del Monte, piccolo borgo fortificato alle pendici del Gran Sasso d’Italia.

Questo rito si è tramandato oralmente per secoli esistono pochissime fonti documentarie e certe, una delle poche testimonianze scritte è riportato da Francesco Giuliani, dove si trovano numerosi accenni al “rito de re sette sporte”, ma soprattutto alle condizioni di vita precarie del tempo, vera causa della malattia che coglieva i bambini piccoli.


Questa festa si celebra tra la sera del 17/18 agosto, riscuote molto successo infatti circa 15.000 visitatori si recano a Castel del monte ogni anno.

Zampognari[modifica | modifica sorgente]

Zampognaro

Molti viaggiatori scendevano in Italia attratti dalle testimonianze storiche dell’Abruzzo:dall’arte, dai paesaggi, dallo stile di vita, rimanendo talvolta affascinati dalla civiltà pastorale abruzzese. Una particolare espressione di questo mondo era costituito dai pastori musicisti ossia” zampognari.”  La scomparsa di questa tradizione è legata al crollo economico pastorale,per le guerre e il terremoto del 1915.Per gli artisti, letterati e musicisti che temevano di avventurarsi in Abruzzo, terra percepita come aspra, selvaggia e pericolosa per la presenza di briganti, era possibile imbattersi nei pifferari, come li chiamavano a Roma, dove arrivavano da tempo immemorabile nel periodo che precedeva il Natale, come pure a Napoli o in altre città, dove gli  zampognari erano diventati un’istituzione.A loro si devono testimonianze significative per ricostruire le tracce degli zampognari e della rilevante influenza esercitata nella cultura europea di ieri e di oggi.

Curiosità[modifica | modifica sorgente]

la prima zampogna di cui si hanno notizie storiche risale al primo secolo d.c

Il suo nome deriva dal latino syfhonia ma nei dialetti volgari è chiamata sampogna. La zampogna è formata da canne inserite in un otre di pelle che costituisce il serbatoio dell'aria. In quanto strumento dell'ambiente pastorale, l'otre della zampogna è fatto in genere di pelle di capretto. L'insufflatore permette al suonatore di immettere il fiato dentro l'otre, che lo distribuisce in modo costante nelle altre canne, tramite la pressione che il pastore esercita con l'avambraccio sull'otre stesso.

La zampogna tuttavia era utilizzata in Italia dai pastori che durante la transumanza richiamavano a loro le greggi. Pertanto, almeno in origine, lo strumento aveva ricoperto un ruolo più vicino all'intrattenimento del pubblico. Anche se nel nostro Paese diventò caratteristico per il richiamo dei pascoli.

Ballo della pupa[modifica | modifica sorgente]

Le feste patronali dei paesi abruzzesi o laziali terminano con lo sparo dei fuochi d’artificio. Il momento più atteso è proprio il ballo della pupa.

Ballo della pupa

La “pupazza” è un fantoccio, alto quasi 2 o 4 metri, realizzato con frasche, carta e stoffa, poi si usa la cartapesta colorata come rivestimento. La pupa ha una forma campalunare.  All’interno del travestimento vi è lo spazio per una persona (il guidatore) che fa ballare la pupazza. All’esterno sono messi alcuni giochi pirotecnici (fontane di fuoco o girandole) che sono accesi durante il ballo. La pupazza ha sembianze femminili. In alcuni paesi è realizzata anche la versione maschile che balla con lei.

La pupa è chiamata in vari modi, a seconda della località: pupazza, è il nome più usato in Abruzzo.

Per ballare all’interno della pupazza si deve partecipare ad un’asta i cui proventi sono utilizzati per pagare le spese della festa.

La pupazza faceva la sua comparsa al termine dei raccolti, tra luglio e settembre,e in occasione delle feste patronali, quando la maggior parte dei contadini e dei pastori sospendeva il lavoro e tornava in paese. Oggi la si ritrova anche nel corso di manifestazioni diverse come, ad esempio, le sagre.

In paese un tempo c’erano gli “esperti” del ballo della pupazza, ovvero persone che erano brave a farla ballare. Per la cultura di questi luoghi, aveva lo stesso valore di portare la statua del santo durante le processioni che caratterizzavano le feste patronali.

Ballo della pupa

La pupazza era realizzata da qualcuno del luogo. Era tenuta nascosta, fino al momento del ballo, così nessuno sapeva quali sembianze avrebbe avuto, ma tutti sapevano chi la stava realizzando e dove. Al momento opportuno, il guidatore si posizionava all'interno del vestito.

Ai lati si trovavano due fori nella struttura, utilizzati dal guidatore per vedere fuori. Attraverso questi fori l’uomo impugnava una parte della struttura della pupazza e di conseguenza riusciva a sollevarla.

In prossimità della piazza la pupazza era accolta dal suono della banda o di qualche strumento musicale.

Le persone che si trovavano intorno alla pupazza si davano la mano e formavano un girotondo che ruotava intorno a lei.

Finito il ballo, terminava il momento di gioia dei presenti. Il giorno successivo ricominciava un anno di duro lavoro nei campi o in montagna.

La pupazza è riconducibile ad una antica figura, simbolo di fertilità, spesso legata ai riti agricoli della cultura pagana del centro Italia.

Il ballo era una rappresentazione gioiosa che propiziava un andamento felice delle sorti di un paese. Oggi, come molte altre tradizioni, sta lentamente scomparendo, sostituita da altre forme di divertimento serale, ossia balli di gruppo o karaoke in piazza.