Inquinamento dei mari e degli oceani

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Spiaggia con bicchiere di plastica

L'inquinamento dei mari e degli oceani è un'alterazione dell'ambiente marino, naturale o dovuta all'intervento dell'uomo, da parte di sostanze inquinanti.

L'inquinamento e la salvaguardia dei mari e degli oceani[modifica | modifica sorgente]

La plastica: il dramma delle tartarughe marine[modifica | modifica sorgente]

Nel Mediterraneo per un chilometro di litorale si accumulano 5 chilogrammi di rifiuti plastici. Le tartarughe marine sono tra le specie soggette a intrappolamento e ingestione plastica. Uno studio ha rilevato che l'80% delle tartarughe caretta del Mediterraneo. L'emergenza plastica affligge tutte le acque del pianeta, ma il Mediterraneo ha una differenza fondamentale: essendo un mare chiuso, le correnti fanno tornare sulle coste l'80% dei rifiuti di plastica. Risultato: per ogni chilometro di litorale, se ne accumulano oltre 5 chilogrammi al giorno (dati del Report “Stop the flood of plastic ”. L'Europa è il secondo produttore mondiale di plastica. Segno che, in molti casi, non viene smaltita in modo corretto o efficace è che ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mar Mediterraneo: l’equivalente di 4,7 miliardi di posate di plastica monouso ogni giorno (ossia 3.600 al secondo). Le attività costiere sono responsabili della metà della plastica che si riversa nel Mar Mediterraneo, mentre il 30% arriva da terra trasportato dai fiumi. La percentuale rimanente dell’inquinamento da plastica deriva da attività marine[1].

In un simile scenario, il mar Mediterraneo non poteva essere esente dal problema. Anzi, il nuovo studio pubblicato su Frontiers in Marine Science mostra che questo mare è considerato un "punto caldo" per l'inquinamento da plastica, ossia uno dei luoghi al mondo più inquinati da detriti micro e macro plastici[2]. Il Mediterraneo ha 46.000 km di coste e copre 2,5 milioni di km2, ovvero meno dell’1% della superficie totale dell’oceano. Ben noto come un hotspot di biodiversità globale, ospita sei delle sette specie di tartarughe marine. La tartaruga Caretta caretta è la più comune, seguita dalla tartaruga verde Chelonia mydas e poi dalla tartaruga Dermochelys coriacea, nota per essere la tartaruga più grande del mondo. La più rara tartaruga Lepidochelys kempii e la tartaruga embricata Eretmochelys imbricata sono state viste solo poche volte nel Mediterraneo finora. Nel 2014, una tartaruga spiaggiata è stata formalmente identificata in Spagna. Si tratta della tartaruga olivastra Lepidochelys olivacea. Le tartarughe verdi sono le uniche tartarughe che si riproducono nel Mediterraneo, principalmente nella parte orientale. Per la testa di toro, i siti si trovano in Grecia, Turchia, Libia, Tunisia, Cipro e Italia meridionale[3].

La pesca intensiva e il tonno rosso[modifica | modifica sorgente]

Il tonno rosso vive nel Mediterraneo ed è il più grande della sua specie e può vivere fino a 40 anni. In primavera il tonno rosso migra verso il Mediterraneo dove si riproduce, per poi in autunno tornare nell’oceano. I branchi tendono a passare negli stessi luoghi anno dopo anno e la conoscenza di queste rotte ha permesso la costruzione di impianti di pesca fissi dette ‘tonnare’, questi però, permettendo di pescare in quantità maggiore stanno provocando l’aumento della pesca intensiva. Lo sfruttamento eccessivo è quindi la minaccia principale che potrebbe portare a una “estinzione commerciale” della specie. Per via del suo grande valore commerciale sta aumentando anche la cattura illegale di questo animale e anche questo influisce sulla diminuzione della specie.

Le Tartarughe in Costa Rica: la minaccia dalla pesca intensiva[modifica | modifica sorgente]

Le tartarughe marine sono seriamente minacciate dalla pesca commerciale. Una ricerca pubblicata spiega che la pesca in Costa Rica rappresenta una grave minaccia per la sopravvivenza di popolazioni di tartarughe marine del Pacifico orientale, I ricercatori hanno utilizzato i dati rilevati da osservatori scientifici a bordo dei pescherecci mandati per registrare la quantità di pesci con palangari. Tali dati hanno fornito la base per un’analisi matematica della pesca, con una conseguente mappatura dei luoghi geografici e una stima del numero totale di catture di tartarughe marine. I ricercatori hanno scoperto con sorpresa che il secondo animale più pescato era la tartaruga, specie protetta. Sebbene circa l’80 per cento delle tartarughe marine catturate venga rilasciata dai palangari e sopravviva all’esperienza, almeno nel breve termine, l’impatto a lungo termine non è ancora adeguatamente misurato.

Caccia alla balena, le tradizioni contro gli oceani[modifica | modifica sorgente]

In alcuni paesi la caccia intensiva alla balena esiste ancora, per continuare le tradizioni locali. La caccia commerciale alla balena è vietata dagli anni ´80. Di regola, tutti i Paesi dovrebbero rispettare questa regola, ma non è riconosciuta da tutti. Lo stato giapponese sostiene che sta cercando di migliorare la conoscenza dell’ecosistema marino dell’Antartide e che queste pesche sono dunque “necessarie” per le analisi. L’Indonesia, per esempio, pratica ancora la caccia alla balena in particolare sull’isola di Lembata. è vista come un divertimento e una pratica tradizionale che persiste. Nelle Filippine questa pratica continua a volte in modo clandestino e violento, i pescatori utilizzano spesso dell’esplosivo per riempire le reti.

La plastica nella catena trofica[modifica | modifica sorgente]

Avrete sentito parlare probabilmente della “Pacific Trash Vortex”, un ammasso di spazzatura delle dimensioni dello stato del Texas! Questa enorme isola di plastica influenza tutti gli organismi e anche la catena trofica. Entro il 2040 la quantità di spazzatura e di plastica che si riverserà negli oceani ogni anno potrebbe quasi triplicare, raggiungendo le 29 milioni di tonnellate. Molti organismi potrebbero scomparire e già ora ci sono degli aspetti negativi,non solo per il pianeta e gli oceani ma anche per noi umani, infatti gettando rifiuti nei mari, i pesci confondendo le microplastiche ai plancton le ingeriscono. Questo problema è anche dei pesci che ci vengono serviti a tavola facendoci così ingerire a loro volta la plastica, si stima che in media i pesci mangino in media 0,7 mg di plastica.Per risolvere il problema della contaminazione della catena trofica, dovremmo ridurre la produzione e il consumo di plastica e non gettare rifiuti anche se biodegradabili nei mari o negli oceani; purtroppo questo non basterebbe, ma grazie a studii e invenzioni spettacolari l’inquinamento diminuirebbe.La raccoldel progetto è abbastanza semplice. Si tratta di una grande rete lunga 800 metri e profonda 3, che viene legata a dei galleggianti e trascinata da due navi a velocità ridotta. Una volta alla settimana circa, il “raccolto” viene scaricato sulle navi e lì, viene divisa e riutilizzata come vuole il progetto The Ocean Cleanup. Il progetto esiste dal 2013, fondato dal 18enne olandese Boyan Slat, e da allora ha visto numerose modifiche e revisioni del sistema di pesca. Questo progetto e molti altri aiuterebbero i mari e gli oceani e salverebbero molti esemplari marini a rischio e facendo tornare in equilibrio la catena trofica.

L'acidificazione degli oceani[modifica | modifica sorgente]

Gli oceani stanno diventando sempre più acidi. E gli scienziati pensano che il cambiamento stia avvenendo con una velocità superiore a quella di qualsiasi altro momento della storia Il colpevole dell'acidificazione è il diossido di carbonio in eccesso che l'uomo ha fatto concentrare nell'atmosfera attraverso l'impiego di combustibili fossili, l'abbattimento di foreste e varie altre azioni. Da sempre gli oceani hanno svolto la funzione di assorbire ed espellere il diossido di carbonio, facendo fare la spola all'anidride carbonica dall'atmosfera all'acqua. Questo scambio però avveniva lentamente, in genere nel giro di migliaia o decine di migliaia di anni. Gli esseri umani hanno disturbato questo lento scambio. A partire dall'inizio della Rivoluzione Industriale, verso la metà del XVIII secolo, gli esseri umani hanno immesso ben 400 miliardi di tonnellate di carbonio nell'atmosfera. Si tratta di un effetto collaterale della vasta quantità di combustibili fossili che abbiamo bruciato per ricavarne energia, degli alberi che abbiamo abbattuto, del cemento che abbiamo prodotto e molto altro. La maggior parte del carbonio, sotto forma di gas o di diossido di carbonio (CO2), permane nell'atmosfera dove imprigiona il calore e contribuisce al riscaldamento del pianeta. Tuttavia, ogni anno l'oceano prosciuga circa il 25% di tutto il CO2 in eccesso che viene emesso. Nel corso degli ultimi cento anni, circa il 30 % di tutto il diossido di carbonio in eccesso che gli esseri umani hanno immesso nell'atmosfera si è infiltrato negli oceani. Per l'atmosfera è un aspetto positivo. Senza questo assorbimento del diossido di carbonio extra, il pianeta si sarebbe scaldato ancora di più di quello che ha fatto. Ma è una brutta notizia per gli oceani.

Note[modifica | modifica sorgente]