Malattia di Huntington

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George Huntington

La Malattia di Huntington è una malattia degenerativa, molto rara, solitamente ereditaria che colpisce il sistema nervoso; alla quale non esiste cura.[1] Le persone maggiormente colpite sono tra i 30 e i 50 anni e di solito muoiono circa 15-20 anni dopo. Se ad essere colpito dalla malattia è un bambino, lui non riuscirà a raggiungere l'età adulta.

La malattia prende il nome da George Huntington, il medico che ne 1872 la descrisse per la prima volta dicendo che era una malattia che tende al suicidio e al disturbo mentale ed è ereditaria. È una patologia monogenica, che non si può diagnosticare tramite un esame al microscopio perché le mutazioni dei geni sono troppo piccole per essere visualizzate.[2]

Causa[modifica | modifica sorgente]

La causa genetica è la mutazione in modo espansivo di una parte del DNA, che produce huntingtina che provoca la morte di alcuni neuroni celebrali.

Sintomi[modifica | modifica sorgente]

Cambiamento corporeo

I sintomi possono coinvolgere le capacità cognitive o motorie; comprendono anche depressione, cambiamenti di stati d'animo, mancanza di memoria, goffaggine, contrazioni involontarie e mancanza di coordinazione.

Quando la malattia peggiora la memoria breve e la concentrazione diminuiscono, e al contrario i movimenti della testa, del tronco e delle membra aumentano.

Ad un certo punto della malattia la persona soggetta perde la capacità di camminare, parlare e mangiare, a questo punto l'individuo è soggetto dal morbo di Huntington e quindi non è più indipendente.

Spesso la morte avviene in seguito a complicazioni come shock, infezione o attacco cardiaco.

Genetica[modifica | modifica sorgente]

Nel 1993 è stato scoperto il gene dominante che causa la malattia di Huntington. Il gene si trova all'interno del cromosoma. Questo gene collabora con una proteina che si trova nel citoplasma.

La malattia di Huntington è caratterizzata dalla degenerazione dei neuroni e dalla mancanza di regolazione del movimento volontario.

Trattamento[modifica | modifica sorgente]

Le terapie farmacologiche non cambiano l'evoluzione della malattia. I farmaci antiparkinson possono influenzare positivamente le forme giovanili dominate da rigidità.

Nonostante i numerosi studi clinici condotti negli ultimi dieci anni, ad oggi nessun farmaco si è mostrato efficace.

La fase clinica è molto impegnativa, soprattutto perché la malattia ha una lenta progressione. La disponibilità di test genetici offre l'occasione di tentare il trattamento durante le fasi iniziali della malattia.

Attualmente gli studi sono rivolti alla ricerca di biormarcatori che permettebbero di intervenire nelle prime manifestazioni della malattia.

Note[modifica | modifica sorgente]

Collegamenti esterni[modifica | modifica sorgente]