Ascoli Piceno

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Ascoli Piceno

Centro storico, 63100 Ascoli Piceno AP, Italy - panoramio (19).jpg
Scorcio del centro storico

Nazione
Popolazione
Superficie
Sindaco
Capoluogo di
Italia
48 917
158 km²
Marco Fioravanti (Forza Italia)
provincia di Ascoli Piceno

Ascoli Piceno è una città dell'Italia centrale. È il capoluogo della provincia di Ascoli Piceno e appartiene alla regione Marche. Il centro storico, costruito quasi interamente in travertino, è tra i più monumentali d'Italia e in esso si trova la rinascimentale piazza del Popolo. È l'unica città della regione ad avere due teatri storici, il Ventidio Basso e il Filarmonici.

La città è conosciuta anche per l'oliva ascolana, specialità gastronomica nata ad Ascoli Piceno e diffusa in tutto il territorio italiano e al di fuori dei confini nazionali.

Secondo il censimento del 2017 la città conta 48 917 abitanti, e la sua superficie è di .

Mito di Ascoli Piceno[modifica | modifica sorgente]

Pico e Circe, in un dipinto seicentesco di Luca Giordano.

La leggenda del Picchio lega il mito di fondazione di Ascoli Piceno alla storia di un picchio. La legenda narra che Pico, figlio del dio Saturno, si era follemente innamorato della Dea Pomona, che era una divinità protettrice di giardini e di frutteti. Pico, per poter entrare nel palazzo della Dea Pomona, si era travestito da vecchia. La Dea Pomona accolse la vecchia (era Pico travestito!) come una buona amica ma Pico ad un certo punto riprese le sue vere sembianze. Questo cambiamento fece un certo effetto alla Dea Pomona la quale comunque finì per cedere alle richieste di Pico accettandolo finalmente per sposo.

La Dea Circe era innamorata di Saturno, padre di Pico, ma allo stesso tempo era respinta dallo stesso, quindi volle vendicarsi sul figlio e trasformò Pico in un uccello: il Picchio! Successivamente Picchio, che nel frattempo si era consacrato al Dio Marte, incontrò una tribù di giovani Sabini che era in viaggio alla ricerca di nuove terre ed era scesa fino al Mare Adriatico. Il Picchio si posò sulle loro insegne, e ciò venne interpretato come un segno della benevolenza degli dei. I giovani Sabini si stanziarono lungo le rive del fiume Tronto, si unirono con le popolazioni autoctone e fondarono la civiltà Picena.

Ascoli Piceno divenne la capitale della civiltà appena sorta, collocata in un sito molto fertile, bagnato dalle acque di due fiumi, di una grande importanza strategica in quanto si trovava sulla via Salaria che collegava Roma con le saline dell’Adriatico.

Ad Ascoli Piceno troviamo il termine picchio anche nel nome di una piccola via, detta rua[1] del picchio, che si trova nel centro storico della città.

Curiosità[modifica | modifica sorgente]

Stemma della regione Marche

Il picchio è un animale con delle caratteristiche particolari: le sue zampe hanno 4 dita che lo aiutano ad ancorarsi bene in verticale sui tronchi e il suo becco è molto forte tanto da aiutarlo ad evitare mal di testa per via delle continue beccate che fa sui tronchi di albero, alla ricerca del suo piatto preferito...: vermi, larve e termiti.

Sin dal 1980 il picchio verde è il simbolo della Regione Marche.

Il ghetto ebraico[modifica | modifica sorgente]

Passeggiando per le strette rue della città di Ascoli Piceno, nel suo meraviglioso centro storico, è possibile trovare un luogo che un tempo era destinato al Ghetto Ebraico.

Una porzione del tessuto urbano che va dal palazzo della Prefettura all’edificio nuovo della Cassa di Risparmio, un tempo chiuso da porte che impedivano il loro accesso al resto della città.

Infatti la bolla papale del 1555 stabilì l’obbligo per gli ebrei di abitare in un luogo separato dalle case dei cristiani, dotato di un solo ingresso e di una sola uscita. La persecuzione degli ebrei veniva praticata perché la comunità ebraica era ricca, potente e con la disponibilità di tanti soldi guadagnati praticando l’usura (il prestito a un elevato tasso di interesse).

La Sinagoga e i caratteri architettonici[modifica | modifica sorgente]

I palazzi di questa area, compresa dalla via Giudea, hanno un’altezza superiore alla media. Quando il popolo ebraico cresceva di numero, non potendo costruire nuove case in orizzontale, le costruiva in altezza. Gli storici affermano che un ristorante della città “la Nicchia”, poteva essere la sede della Sinagoga in quanto sono presenti tre finestre allineate che possono indicare la presenza delle donne al rito ebraico. Infatti, in generale, le donne – durante il rito religioso – si sedevano separatamente dagli uomini, o nella galleria al piano superiore o in una area laterale. In particolare, la presenza di una sinagoga ad Ascoli Piceno veniva testimoniata dal rabbino-capo della città di Ancona.

Le rue dedicate agli ebrei[modifica | modifica sorgente]

Le numerose rue del ghetto sono dedicate a ebrei famosi che si recavano nella città di Ascoli per eseguire i loro commerci; un esempio è rappresentato dalla “rua David d’Ascoli” noto scrittore. Gli ebrei infatti avevano cognomi di città. Tutto questo per identificare la provenienza degli ebrei che a causa di un'altra bolla papale di Papa Pio V venivano allontanati da tutte le città dello Stato Pontificio a eccezione di due città: Ancona e Roma.

Il Monte di Pietà[modifica | modifica sorgente]

Nella memoria del ghetto e dei commerci della città di Ascoli vi è il Monte di Pietà, il più antico di Italia. Fu fondato il 15 gennaio 1458.

Dove si trovava e a cosa serviva? Era ubicato appena fuori i confini del ghetto, al posto del nuovo edificio della Cassa di Risparmio presso la chiesa scomparsa di Sant’Onofrio a opera di Fra Domenico di Leonessa. Fu istituito dalla chiesa con Papa Pio V per contrastare l’usura praticata dagli ebrei con uno scopo dichiaratamente caritativo: aveva infatti il compito di custodire le elemosine delle persone più facoltose della città per aiutare i poveri ed erano costituite in prevalenza da beni alimentari.

Produzione tessile[modifica | modifica sorgente]

Ascoli Piceno ha sempre avuto un’economia ricca nel settore della produzione e lavorazione di stoffe e tessuti: nel Medioevo si lavorava la canapa per ricavarne tessuti, poi nel Rinascimento la città si è distinta per la lavorazione della lana e, in tempi più moderni, per la bachicoltura e la produzione della seta. Un tessuto particolare era quello di colore blu che si otteneva dalla macerazione delle stoffe con le urine, e che consentiva di ottenere varie tinteggiature. Ascoli era gemellata con Venezia e tale amicizia incrementava anche l’intensità dei commerci di stoffe, rendendola ancora più ricca.

Le origini della coltivazione della canapa nell'ascolano[modifica | modifica sorgente]

Canapa
Canapa

La coltivazione della canapa è stata praticata per secoli nel territorio di Ascoli Piceno. Il prodotto finito si segnalava per l’alta qualità della fibra e presentava “un bel colore chiaro”, caratteristica che la rendeva molto adatta per la preparazione di filati e di tessuti di alta moda. Nelle campagne ascolane la tessitura domestica della canapa era utilizzata per la preparazione dei corredi nuziali. La produzione e la lavorazione della canapa ebbero un particolare rilievo per lo sviluppo della marineria di San Benedetto del Tronto attraverso l’industria delle corde e delle reti di pesca.

Le origini della produzione di canapa nell’ascolano si perdono nel tempo: viene nominata già dalla fine del XIII secolo nelle cronache e anche negli studi basati sulle informazioni, seppure indirette, contenute negli Statuti Comunali. Da questi ultimi risulta che, tra il XV ed il XVI secolo, la valle del Tronto costituisce nelle Marche il maggior polo di coltivazione nella canapa.

Nel XVI secolo nel Piceno si assiste ad un cambiamento radicale del paesaggio agrario: cominciano a diffondersi i contratti di mezzadria ed il podere è la nuova struttura produttiva tendente all’autosufficienza caratterizzata dalla policoltura. Il Settecento, in Italia e non solo, segna il perfezionamento della policoltura poderale: la crescita dei prezzi di cereali, la coltura del mais, l’incremento demografico e la costituzione di famiglie contadine polinucleari permettono l’introduzione intensiva di colture come la canapa. In una ricerca del 1892 sulle Condizioni industriali della Provincia di Ascoli Piceno, nella sezione dedicata alla "industria tessile casalinga", risultano nel circondario di Ascoli ben 1252 telai per lino e canapa, di cui oltre 700 solo nei paesi della valle del Tronto. È proprio in questo periodo che la canapa diventa, nel circondario di Ascoli, una delle principali colture, assieme al frumento ed al granoturco.

Dopo il 1951 si assiste alla diminuzione di questa coltivazione. Questo fenomeno è dovuto non solo alla concorrenza delle fibre sintetiche, ma soprattutto dal rifiuto degli operai agricoli di lavorare nelle maleodoranti vasche di macerazione. La crisi della canapa è stata causata dall’incapacità di trovare in tempo un sistema di macerazione industriale, aggiornando le modalità per coltivarla e produrla.[2]

La coltivazione dei bachi da seta Ad Ascoli Piceno[modifica | modifica sorgente]

Un baco da seta mentre si nutre
Un baco da seta mentre si nutre

Nel centro storico della città si può ammirare palazzo Gallo Tarlazzi, progettato nel 1910 da Vincenzo Pilotti su incarico di Gallo Tarlazzi, un agente commerciale di seta. Egli si trasferì ad Ascoli con la famiglia per intraprendere l’attività della bachicoltura. Nel 1927 operavano in Italia nel settore 148 ditte: fra queste, ben 52 nella sola provincia di Ascoli con una produzione di 450 mila once di seta, ovvero quasi 12 tonnellate, quantità molto importante considerando che ogni singolo bozzolo pesa meno di mezzo milligrammo. Diverse erano le ditte autorizzate a vendere il seme per il baco da seta che avevano lo stabilimento in Ascoli Piceno, fra queste c’era quella di Gallo Tarlazzi.

I maggiori clienti si trovavano in Europa e persino in Giappone. In particolare ad Ascoli si realizzava un tipo particolare di seta, detta “giallo ascoli” che veniva moltissimo apprezzato dalla famiglia imperiale Giapponese. In città si può trovare Rua della seta, che fiancheggia un palazzo, oggi sede della Libreria Rinascita, che ospitava un importantissimo sito di produzione bacologica.

Purtroppo il ricco periodo di produzione termina con la nascita delle fibre artificiali, infatti nel 1937 la produzione ascolana si era assestata sulle 40 mila once, contro le 450 mila del 1927.[3][4]

Il lavatoio di Ascoli Piceno[modifica | modifica sorgente]

Lavatoio Pubblico Ascoli Piceno

Il lavatoio di Ascoli Piceno, che si trova a Porta Cappuccina, è costruito prevalentemente in travertino, ed è suddiviso in cinque arcate separate da una serie di colonne. Utilizzato anticamente per il lavaggio dei panni, era anche impiegato per la tintura degli stessi; infatti, se bagnati con l'urina e con erbe, come il guado, le stoffe si tingevano di una colorazione sui toni del blu, e successivamente, venivano sciacquate in questo sito. Il lavatoio è legato alla leggenda di Sant’Emidio, che narra la storia del patrono di Ascoli Piceno che, non avendo l’acqua a disposizione per battezzare tutti i fedeli, prese un sasso che poi gettò a terra, e una volta caduto si aprì facendo sgorgare dalla fontana molta acqua. In ricordo di questo miracolo, il lavatoio si chiama oggi "Fonte S. Emidio". Ancora oggi il lavatoio è frequentato da signore che vi si recano per lavare i propri panni.

Sant'Emidio[modifica | modifica sorgente]

Parlando dello splendore di Ascoli Piceno non si può non citare Sant’Emidio protettore e simbolo della città. La leggenda del Santo è avvolta nel misticismo: una città così bella e antica non avrebbe potuto avere un altro protettore. Secondo la leggenda nel 303 il 5 agosto presso il ponte di porta Solestà, Sant’Emidio fu decapitato perché aderente alla fede cristiana. Dopo la decapitazione il santo prende su di sé la testa e la porta nel luogo della sua sepoltura, nelle catacombe di Campo Parignano, dove attualmente sorge il tempietto di Sant’Emidio alle Grotte; una facciata barocca di travertino, costruita su un muro di pietra a guardia delle antiche tombe cittadine.

La leggenda del basilico[modifica | modifica sorgente]

La leggenda racconta che intorno alla tomba di Sant’Emidio si manifestò un miracolo della natura: là dove non vi era circolazione d’aria e vita apparvero piantine di basilico. Ancora oggi nel giorno della festività dedicata al santo il sagrato della basilica viene ricoperto da una estesa fioritura di basilico, portata dai contadini in segno di devozione e di ricordo del santo.

Il travertino[modifica | modifica sorgente]

La città di Ascoli Piceno nei secoli invece di adottare materiali più innovativi e rinnovare la propria immagine è rimasta fedele al travertino facendo rimanere immutato l’aspetto e la bellezza della città. Ascoli è una città brillante perché gli edifici cambiano colore a seconda della luce del sole e del chiarore lunare. La città nei secoli è diventata un mix di stili e di bellezza, il merito è del travertino: una pietra molto simile al marmo che brilla vivacemente. La luce e il travertino a pensarci bene sono cose diverse l’una rispetto all’altra: la luce ci parla di energia di vita, di speranza per il futuro e di tensione al cielo; il travertino al contrario, di terra, di stabilità e di riflessione sull’essenziale. L’ambiente naturale e culturale è in grado di plasmare la nostra psiche e la nostra forma fisica e indirizzare la tensione spirituale nella giusta direzione.

Le iscrizioni sui portali in travertino[modifica | modifica sorgente]

La città di Ascoli tra il ‘400 e il ‘500 visse un periodo di grande sviluppo artistico e intellettuale, che si può tutt'oggi percepire passeggiando per le vie del centro storico. Vale sicuramente la pena perdersi nelle rue della città e scoprire curiose scritte antiche incise sul travertino. Si tratta di motti e proverbi in latino con i quali gli ascolani amavano presentarsi e identificarsi apertamente esponendo in maniera esplicita, sull’ingresso della propria casa, il proprio modo di vedere le cose.

Molte di queste scritte riportano detti e proverbi, altre presentano versi biblici, alcune incitano all’azione, altre offrono consigli saggi, molte altre usano l’ironia per dire verità e allo stesso tempo divertire.[5][6][7][8]

Di seguito alcune delle iscrizioni nei portali del centro storico di Ascoli Piceno:

In un’architrave posto in Via Vidacilio possiamo leggere:

«super chenice no sedendum».

Tradotta in italiano, questa scritta significa:

«non sederti sulla chenice»,

ovvero, non adagiarti, non accontentarti della chenice, che era la razione quotidiana di cibo , dunque «non adagiarti sull’ozio». In Via Annibal Caro è presente un portale della prima metá dell’XVI secolo con scritto:

«Non senza fatiga»

Questa frase allude all'esigenza e alla necessità e di fare ogni impresa e ogni gesto quotidiano con impegno e, ahimè, anche con fatica. In via Lunga possiamo invece leggere:

«Chi pó no vó,

chi vó non pó,

chi sá non fá,

chi fá non sá,

et cusí el mundo mal vá»

«Chi puó non vuole,

chi vuole non puó,

chi sa non fa,

chi fa non sa,

e cosí il mondo male va»

Paggese e le sue case parlanti[modifica | modifica sorgente]

Paggese è un borgo a 17 km da Ascoli Piceno, completamente costruito utilizzando il travertino. In molte abitazioni del paese è possibile trovare, sulle cornici delle porte e delle finestre, delle iscrizioni in latino e dei simboli scolpiti, come l’incudine e il martello, che spiegano la professione di artigiano di chi abitava in quella casa.

Tra le tante iscrizioni si nota:

«Stet domus nec donec fluctus formica marinos ebibat et totum testudo per ambulet orbem»

che tradotta dal latino significa:

«Sii salda oh casa, finché la formica non beva tutte le onde del mare e la testuggine non percorra tutta intera la terra».

In questa iscrizione il proprietario ha voluto rivolgere un augurio di eternità alla sua casa.

Ascoli Città Delle Cento Torri[modifica | modifica sorgente]

È proprio con il travertino che sono state costruite le numerosissime torri che caratterizzano Ascoli Piceno, non a caso chiamata “ la città delle cento torri”:

In antichità, nel Medioevo, Ascoli Piceno era una città ricca di torri gentilizie, una delle tante rimaste è la torre dei Grisanti: infatti in epoca medievale le famiglie nobili costruivano palazzi con torri molto alte, sia per scopi difensivi, sia per manifestare il proprio potere. Le torri, inoltre, erano dotate di porte alte e strette, adatte agli attacchi improvvisi. Visitando Piazza Ventidio Basso, si possono notare molte torri gentilizie vicine tra loro; alcune più alte, altre “abbassate” (che prima erano più grandi). Viene da qui il famoso detto ascolano “abbassa la cresta”, ovvero “non crederti superiore”. Prima della venuta di Federico II di Svevia, nel 1242, si pensa che ad Ascoli ci fossero più di duecento torri, delle quali ne furono distrutte circa una novantina, e da questo fatto deriva il detto “Ascoli città delle cento torri”. La più importante torre di Ascoli è quella dei Grisanti, e degli Ercolani; in tutto ne rimangono circa 50, la maggior parte delle quali è stata ridimensionata e inglobata nelle abitazioni; due torri sono state invece trasformate in campanili, uno di questi si chiama Torre di San Venanzio. Altre torri presenti ad Ascoli sono le Torri Gemelle, poste davanti alla chiesa di S. Agostino, costruite nel XII sec. con semplici conci di travertino.[9][10]

La quintana di Ascoli Piceno e la pittura dei ponti[modifica | modifica sorgente]

La quintana[modifica | modifica sorgente]

Una quintana: manichino e scudo.

La quintana è una rievocazione storica medievale, che si svolge con una giostra equestre e una sfilata in costume. Le sue origini risalgono al medioevo, quando i saraceni, verso il IX secolo, invasero il territorio dei piceni. Nei secoli successivi questa tradizione si è interrotta, è stata ripresa nel 1955 e, ancora oggi, è uno degli eventi più importanti di Ascoli. In passato la giostra si faceva nella stupenda piazza Arringo, adesso invece la sede è uno stadio chiamato campo “Squarcia”.

La tradizionale giostra si svolge in estate, le date sono quelle della prima domenica di agosto e il secondo sabato del mese di Luglio. La quintana si articola nel corteo storico e nella giostra vera e propria, una disputa di cavalieri che percorrono per tre tornate il campo, cercando di colpire al meglio il bersaglio posto sul braccio sinistro del saraceno. Vince chi è stato più veloce e ha realizzato il punteggio maggiore.

Altri eventi[modifica | modifica sorgente]

Altri momenti importanti che si svolgono ad Ascoli Piceno – nel mese di luglio e agosto – sono il palio degli sbandieratori, il saluto alla Madonna della Pace, le letture del bando di sfida, il palio degli arcieri e l’offerta dei ceri.

Le squadre che partecipano sono sei, una per ogni sestiere della città: Porta Maggiore, Sant’Emidio, Piazzarola, Porta Solestà, Porta Romana e Porta Tufilla.

La pittura dei ponti[modifica | modifica sorgente]

Come la tradizione vuole, durante la quintana di agosto si rinnova il rito legato ai disegni propiziatori ad Ascoli Piceno. Ogni anno i ponti di ogni sestiere vengono dipinti con disegni e colori. Si tratta di un’usanza che, ormai da tanti anni, accompagna l'edizione della quintana di agosto.

Qualche giorno prima della Giostra, durante la notte, i sestieranti sono soliti realizzare un dipinto a terra, sul manto stradale, per accattivarsi la buona sorte in vista della lotta per la conquista dell'ambito palio. Gli effetti più scenografici si ottengono con la pittura dei ponti, che collegano il centro storico della città ai sestieri immediatamente oltre i fiumi Tronto e Castellano. In tale circostanza, per regolamentare la viabilità, il comune spesso adotta ordinanze speciali per la viabilità.

La via delle Canterine[modifica | modifica sorgente]

Una volta attraversata la zona del ghetto, andando verso il fiume Tronto si incontra la via delle Canterine. Il nome dialettale “li cannarine” secondo la tradizione locale, identifica le donne intente a rammendare, fare la calza, ricamare e pulire le verdure per la cena sedute sull'uscio mentre cantavano. Però esiste una ulteriore e più convincente spiegazione dell’origine della via: sarebbe ispirata alla coltivazione e lavorazione della canapa da cui deriverebbe l’espressione “cannapine” ancor più affermata dall’esistenza di una rua dedicata all’attività dei tessitori: rua dei tessitori.

Oggi è nota per la presenza di street art.

Una passeggiata tra i murales[modifica | modifica sorgente]

In molti angoli delle rue che partono da via delle Canterine e lungo un muro della stessa via si possono scorgere delle vere e proprie opere d’arte di un giovane artista di strada, Andrea Tarli. Un pellicano, un geco dai colori legati alla terra, anticipano la grande Madre Natura che con un pennello si riappropria della città; coprendo col colore blu protagonista il grigiore del cemento dei palazzi.

Attraverso la pittura, Andrea Tarli ci regala dei murales di fantasia che coabitano con il reale, incastrandosi perfettamente nel pattern variegato della quotidianità. L’artista combatte il vandalismo effettuato sulle pareti e i muri della città utilizzando bombolette spray, attraverso l’arte che deve essere visibile da tutti, “come la musica che entra da una finestra”.[11]

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. Rua è un termine per indicare una stradina, in uso in alcune città, tra cui Ascoli Piceno.
  2. Monica Ferri, Breve storia della canapa nelle Marche e nel Piceno
  3. Giuseppe Di Bello, Il baco da seta che portò Ascoli in Europa, 7 dicembre 2020
  4. Carradori Valentina, Ascoli Piceno. Alla scoperta della città dei bimbi Condividi, Giaconi Editore, 2022.
  5. Tommaso Rossi, Ascoli Piceno: tra Medioevo e… il Rinascimento del ‘travertino parlante’ (puntata 2), 16 agosto 2012.
  6. Gianluca Paniccia, Scripta manent (parte 1 – Ascoli Piceno), 3 gennaio 2021.
  7. Le iscrizioni del Cinquecento, Luoghi Arte Marcucci, 2019.
  8. Carradori Valentina, Ascoli Piceno. Alla scoperta della città dei bimbi Condividi, Giaconi Editore, 2022.
  9. Comune di Ascoli Piceno, Le cento torri.
  10. Carradori Valentina, Ascoli Piceno. Alla scoperta della città dei bimbi Condividi, Giaconi Editore, 2022.
  11. Un video che mostra la realizzazione di un'opera di Andrea Tarli.